Quando Pasquale e tua madre sono arrivati, io sono uscito dalla stanza per intrattenerlo. Tu sei rimasta con tua madre e uno dei dottori, che ti aveva visitata in precedenza, ti ha detto – balbettando e probabilmente dimenticandosi molte regole della comunicazione medico-paziente – che, se non ti fossi operata, saresti morta.
Il tuo respiro si è fermato, hai sospirato un paio di volte, sei diventata ancora più pallida di quanto già non fossi, segno che la paura si stava impadronendo di te. Tua madre è venuta a chiamarmi di fretta. Ho lasciato Pasquale con gli zii e sono venuto a incoraggiarti, non sapendo quello che ti aveva detto il dottore. Addirittura mi sono permesso di rimproverare tua madre per la faccia da funerale che aveva davanti a te.
Non avevo paura, ero fiducioso. E lo sono stato fino a quando, dopo che è cominciato quell’evidente via vai di medici e infermieri, qualcuno, dopo le nostre gentili richieste, si è degnato di dirci che eri grave, che ti stavano rianimando, che eri nelle mani del Signore. È stato solo in quel momento che ho cominciato anch’io ad avere paura. Di certo non mi sono ricordato che in quel modo stavo nutrendo il mostro della storia che non ho mai fatto in tempo a raccontarti…
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